domenica 21 dicembre 2014

A proposito di Opera (di Firenze)


Ma com'è gestita, dal punto di vista del gusto e del decoro, l'Opera di Firenze? Quel ridicolo alberello di Natale nel foyer, collegato alla presa elettrica con un filo per terra fermato col nastro adesivo, coronato in basso da una serie di scatole vuote, nemmeno fossimo in un minimarket gestito da cinesi. A nessuno è balenata l'idea di allestire un albero di dimensioni accettabili all'esterno, anche per sopperire allo squallore dell'area dell'accesso, inutilmente rallegrata (si fa per dire) da quegli stupidi cavalli rossi che non si capisce se un bel giorno verranno messi a riposo. E perché lasciare al buio quella lunga pensilina che ci accompagna dal Viale Belfiore? La quale peraltro non arriva all'ingresso del teatro (scusate, dell'Opera), costringendoci per gli ultimi cinquanta metri che ci separano dal foyer a riaprire l'ombrello. Alla bruttezza di quest'Opera, dove dalla galleria non si vede la platea e viceversa, con tanti saluti al coinvolgimento socializzante che contraddistingue da sempre i luoghi di spettacolo, si aggiunge la trascuratezza dovuta alla mancanza di un responsabile all' "estetica", e ciò in una città che ha sempre fatto attenzione alla qualità, ai dettagli, alla perfezione.

martedì 9 dicembre 2014

Riflessioni su una trasmissione in diretta

Questo blog non afferisce al titolo "Storie di una città", ma in un'epoca di facili comunicazioni quanto avviene a Milano sembra avvenire a Firenze e non soltanto a Firenze. Perciò mi permetto (non certo da musicologo quale non sono) una riflessione sullo spettacolo inaugurale di quest'anno del teatro alla Scala, visto in diretta alla televisione.
Domenica scorsa è stata trasmessa in diretta dalla Scala la prima di Sant’Ambrogio, quest’anno “Fidelio” di Beethoven, diretto da Daniel Barenboim con la regìa di Deborah Warner. Due errori fondamentali: 1) Barenboim ha usato come ouverture la Leonore n° 2, troppo lunga e, come le altre Leonore, più poema sinfonico che ouverture, tanto che non per niente Beethoven le aveva sostituite tutte definitivamente con l’ouverture Fidelio, assai più snella; 2) la regìa ha confuso un’opera del primo ottocento, ancora legata alle convenzioni del singspiel, con un’opera post romantica (anche se vi si ravvisano notevoli anticipazioni), tanto che almeno nel primo atto sembrava di assistere a una specie di Carmen o di Bohème. Col secondo atto si finisce ancor peggio di come si era cominciato: una vittoria di rivoltosi alla NoTav, guidati da Don Fernando, pronto a farsi gli affari suoi da buon politico professionale. Non si è capito che si tratta di un’opera massonica: esattamente come il Flauto magico di Mozart che finisce con l’inno alla fratellanza, e come la Nona Sinfonia dello stesso Beethoven che si conclude con l’Inno alla Gioia. Del resto ha la sua origine nell’Orfeo ed Euridice di Gluck (l’opera massonica per eccellenza: un coniuge votato alla salvezza del consorte come processo iniziatico), per proseguire con il Ratto dal serraglio e col Flauto magico di Mozart. Mi diverte fare equazioni fra i personaggi delle tre opere. Don Ferrando come Apollo, Selim e Sarastro; Don Pizzarro come Osmino e Monostatos; Marzeline come Blonde e Papagena; Jaquino come Pedrillo e Papageno; Florestan come Euridice, Constanze e Pamina; Leonore come Orfeo, Belmonte e Tamino (e Rocco? lo Sprecher?) Naturalmente mancano gli elementi mitologico e comico, e le parti maschili e femminili in alcuni casi sono invertite, ma le strutture sono le stesse, anche se s’inseriscono accenti forti, che tuttavia non diventano mai drammaturgia nel senso romantico del termine. Soprattutto non ci sono i parametri naturalistici e veristi quali quelli che la regista Warner ha arbitrariamente inserito, anche perché la musica usa ancora le convenzioni settecentesche, pur aggiornate. Il fine è lo stesso delle suddette opere e della Nona Sinfonia: l’iniziazione alla fratellanza illuministica.


domenica 28 settembre 2014

OF, l'Opera di Firenze

Fra le “storie” di questa città, un posto particolare spetta anche al nuovo Teatro dell’Opera che si è voluto chiamare OF, Opera di Firenze, per evitare la definizione di Teatro che all’estero non si usa per le “Opera houses”.  Il problema di questa nuova Opera, dopo le sue multiple inaugurazioni, sta in alcune anomalie che vengono rilevate dal pubblico, ma che sono del tutto ignorate sia dagli interni al teatro che dagli addetti ai lavori, cioè critici e giornalisti. Strano, poiché quest’opera architettonica è una delle pochissime grandi opere che la città ha avuto in dotazione da un secolo, e mi riferisco allo Stadio Comunale (1930/1932), alla Stazione ferroviaria (1932/1934) e, a distanza di molti decenni, al Palazzo di Giustizia (2000/2012). Questo faraonico complesso teatrale, inaugurato nel 2011 e ancora incompleto, non ha tuttora ricevuto alcuna critica, sia sul piano architettonico che su quello funzionale, mentre critiche anche feroci furono a suo tempo rivolte alle grandi strutture sopra ricordate (fa eccezione soltanto lo stadio “Giovanni Berta” che è sempre stato apprezzato, anche se poi gli sono state apportate modifiche che hanno snaturato l’opera originaria dell’Ingegner Nervi).

Su questo teatro niente è stato detto sul fatto che a differenza di teatri storici o moderni, la sala principale è tale che dalla platea non ci si accorga neppure che esistano galleria e palchi (cosiddetti) e che dalla galleria non si riesca a comunicare visivamente con chi sta in platea, a scapito della funzione socializzante che ogni teatro dovrebbe avere. Ma cosa ancor più grave è che dalla galleria, quando si svolge l’opera, non si vede l’orchestra in buca, mentre si sa che i fanatici della galleria si compiacciono soprattutto di poter dominare dall’alto gli interventi di maestro e strumentisti.

Nessuno poi ha osservato che in questo teatro, non ancora completato delle strutture di palcoscenico, si mantiene la scenografia di un’opera in corso di esecuzione e che di conseguenza i concerti che s’interpongono fra le varie repliche dell’opera si svolgono sulla fossa orchestrale rialzata. Il risultato è che il pubblico della galleria si deve accontentare di ascoltare senza poter vedere il direttore e il solista. Insomma una situazione inaccettabile. Al concerto Abbado/Urmana dello scorso 27 settembre, quelli della galleria durante l'intervallo si muovevano per cercare inutilmente un posto da cui vedere oltre che sentire. Infatti dell'orchestra collocata sopra la fossa si vedeva soltanto l'ultima fila degli ottoni. Per vedere il gesto del Direttore e il volto della cantante si doveva stare in piedi. Ma nessuno di quelli del teatro sembra rendersi conto dell'orrore, mentre i giornalisti che non ne parlano temono forse di fare la fine del povero Isotta a cui il Soprintendente della Scala ha negato l'accesso al teatro. Un teatro che sembra fatto per gli interni e per compiacenti addetti ai lavori; il pubblico si arrangi. Non sarebbe invece il caso che i responsabili (?) del teatro, viste le circostanze, ma anche i disgraziati errori di progettazione, si attivassero per cercare di risolvere questi problemi, smontando e rimontando le scenografie in modo da poter consentire all’orchestra impegnata nei concerti di alloggiare sul palcoscenico e non sopra la buca, oppure programmando gli eventi in modo da non sovrapporre opere e concerti fra loro?


Che dire poi del fatto che, a differenza di quanto avveniva nella vecchia sala di Corso Italia dove i soprattitoli erano perfettamente leggibili, a tutt’oggi nel nuovo OF è ancora arduo leggerli, se non schermandosi gli occhi col programma di sala? O leggi i titoli o guardi la scena, a scelta. E poi, in quale altro teatro del mondo si riceve la contromarca, non per andar fuori a fumare, ma semplicemente per restare nel foyer?

domenica 20 luglio 2014

Com'era e dov'era, fin dall'Unità d'Italia.

Altro che la Casta dei Magistrati. Fatte le debite differenze, che cos'è quella dei Soprintendenti (ai beni artistici, ai beni storici e architettonici ecc,) se non una Casta? Basta vedere come reagiscono (un po' alla volta) al progetto del Ministero ai beni culturali di introdurre la figura del manager alla gestione dei musei italiani. Un importante personaggio, che è stato Soprintendente ad un Polo Museale ed è poi diventato il grande direttore dei musei di uno stato straniero, ha definito il progetto ministeriale una "macelleria". 
A quanto pare tutto va ben, madama la marchesa. Ma come si fa a pretendere di mantenere tutto com'era e dov'era? Come nel XIX secolo hanno creato le strutture museali che sono andate bene per duecent'anni, nel XXI secolo si potrà ben pensare a rimodellare e riorganizzare un sistema oggi desueto e incapace di sostenere la nuova pressione turistica. Dice niente la scalinata e l'ingresso del Metropolitan Museum di New York?
Parlando della Galleria dell'Accademia: che senso ha OGGI, lo spezzettamento all'interno dello stesso isolato fra la Galleria, il loggiato dell'antico ospedale di San Matteo in Piazza San Marco con il relativo chiostro, il Conservatorio Cherubini, il Museo delle Pietre Dure, senza alcun progetto alternativo, eventuali trasferimenti compresi? Il tutto per fare entrare il turista in galleria attraverso un usciolino che al massimo potrebbe introdurre ai servizi igienici. E una coda che comincia in Via degli Alfani e gira per la Piazzetta delle Belle Arti (poco belle, in verità, imbrattate da chewing gum e scritte sui muri) e arriva finalmente all'usciolino predetto. 
Nella Basilica di San Lorenzo si paga 1) un biglietto per entrare in chiesa, 2) un altro biglietto per vedere il pulpito donatelliano testé restaurato e rinchiuso in un sarcofago oscuro e protetto da un tornello, 3) per vedere e (non) capire il rapporto fra le due sagrestie, uscire, girare l'angolo, pagare un terzo biglietto e passare dai sotterranei prima di trovarsi dentro un'incomprensibile struttura architettonica contenente due tombe medicee, appunto la Sagrestia Nuova che in quel contesto non appare più per quello che è, appunto una sagrestia che fa pendant con la Sagrestia Vecchia di Brunelleschi. Nessun collegamento con l'altro capolavoro di Michelangelo, la Biblioteca Mediceo Laurenziana. Chiedete cose ne dicono la Bietti e l'Acidini; rispondono che è così dall'Unità d'Italia. Infatti, viene da dire.
Un funzionario della Soprintendenza fiorentina, che per aver superato un concorso molti anni fa ha poi scalato tutti i gradini della burocrazia statale, è diventato direttore del "Museo di Orsanmichele", dove, al primo piano ha trasferito le statue che in origine stavano nelle nicchie delle tre facciate. Le statue collocate l'una accanto all'altra, senza alcun riferimento ai contesti di cui facevano parte, sembrano statuine di un museo delle cere, o fantocci pronti per il tiro al bersaglio. Basta vedere i Quattro Santi Coronati non più costretti dentro la loro nicchia ma lasciati liberi di fluttuare nell'aria e fuori scala rispetto alle statue che li affiancano.
Basta così? Viene voglia di aspettare i supermanager, come del resto pare augurarsi il nuovo direttore della Galleria Palatina.

martedì 17 giugno 2014

Scorcio o sconcio?


Indovinato? Questo è uno scorcio di Via dei Martelli a Firenze; sullo sfondo il Bel San Giovanni che di solito non vuole inganni ma che quest'anno ha fatto un'eccezione. 
A proposito: scorcio o sconcio?


giovedì 5 giugno 2014

Oscenità nelle piazze


Peggio che pisciare sul sagrato.
Ma chi è che ha consentito e fatto un tale obbrobrio in Piazza San Giovanni, per l'accesso alla Loggia del Bigallo trasformata in un "infopoint"? Comune, Sovrintendenza, Opera del Duomo, del Bigallo, Arcivescovado,? Chiunque sia se ne vergogni (o meglio, se ne vergognino tutti)




giovedì 22 maggio 2014

La favola della Tavola Doria

Stamani alla Biblioteca degli Uffizi si è parlato della "Tavola Doria tra storia e mito", il dipinto di anonimo del XVI sec., copia della lotta per lo stendardo facente parte della “Battaglia di Anghiari”, l’opera incompiuta e perduta che Leonardo intraprese per la Sala del Maggior Consiglio del Palazzo dei Signori. La tavoletta, notificata e vincolata nel 1930, sparì presto dalla circolazione, sfuggita all’attenzione dei nostri bravi funzionari nonostante il vincolo, ed è stata rinvenuta fortunosamente in un caveau svizzero pochi anni fa, per merito di carabinieri e magistrati, e non certo di coloro che se l’erano lasciata sfuggire. Si scopre che legittimo proprietario risulta essere un museo di Tokio che l’aveva pagata fior di milioni di dollari. La favola finisce col rientro della tavola a far parte del patrimonio italiano, in dotazione al Museo degli Uffizi, che tuttavia si è impegnato a concederla in esposizione per quattro anni al museo giapponese che pare averla acquistata in buona fede. La mattinata è trascorsa fra mille chiacchiere dei responsabili del ritrovamento, delle indagini diagnostiche, degli interventi di restauro. Una fiera delle vanità. Gli Uffizi detengono un’altra copia del dipinto leonardesco, di altro anonimo autore del XVI sec., stabilmente esposta nel ballatoio della sala dei 500 in Palazzo Vecchio. Non si capisce tanto orgoglio per l'ottenimento di questa seconda copia, che fra l’altro è assai deteriorata per colpa di uno scriteriato intervento di cui non si sono ancora capite né la mano né l’epoca. Tutto serve per compiacere l’ego degli addetti ai lavori, i quali si garantiscono, in questo scambio di cortesie reciproche, viaggi e soggiorni a Tokio a spese dello Stato.


venerdì 9 maggio 2014

Firenze in musica


Ieri al Piccolo Teatro del Comunale (anche quello in abbandono), c’è stata la giornata dedicata a Carlo Maria Giulini in occasione del 100° anniversario della nascita. Purtroppo c’erano quattro gatti di fronte ad un piccolo gruppo di amici e parenti, fra i quali un figlio. Relatori un padre benedettino di San Miniato, Angelo Foletto e Daniele Spini. Tutto bene, ma sia alla cosiddetta tavola rotonda sia alla serale proiezione di due documentari sul maestro (uno della Rai, l’altro della TV svizzera italiana) mancavano, non dico musicisti, direttori, musicologi e critici di fuori Firenze, ma neppure i fiorentini Rossi, Orselli, Nicolodi, Negri, Alberti, Ermini Polacci, Ruffini, Pinzauti. Colpa loro o del Teatro?

martedì 6 maggio 2014

Ancora su Piazza della Repubblica


Ma verranno prima o poi un Sindaco e un buon Assessore alla Cultura, tali da capire che la Piazza centrale di Firenze (la Piazza Vittorio ora della Repubblica) non si può trattarla in questo modo? Ripetiamo quanto già detto in altra occasione. Le piazze ottocentesche sono state concepite per ospitarvi un monumento al centro, tanto che la Piazza Vittorio fu addirittura costruita ATTORNO al monumento a Vittorio Emanuele II (e non viceversa); quindi la piazza, anche se mutilata del suo fulcro centrale (cioè del monumento che l'arcone inquadrava), non può ospitarvi anacronistiche colonne dell'abbondanza, né tanto meno giostre o, quel che è peggio, temporanee ma continue istallazioni di beduine tendopoli.

lunedì 21 aprile 2014

STATUE IN MAGAZZINO

Non basta andare al piano alto di Orsanmichele per vedere la statuaria fiorentina come se fosse in un deposito. Da oggi si può avere la stessa sensazione andando a vedere la mostra su Baccio Bandinelli allestita al Bargello. Nella sala prima si sono aggiunte le opere di Baccio a quelle già presenti di Michelangelo e del Cellini. Sembra di essere in un magazzino. Se non si dispone di ambienti adeguati, dove dare alle opere il giusto risalto e un'appropriata ambientazione, meglio sarebbe rinunciare. A poca distanza dal Bargello si poteva disporre dell'Oratorio dei Filippini in San Firenze, che si è invece preferito utilizzare per i video su Pollok. Cosa ci stanno a fare (o cosa sanno fare) Assessori alla Cultura, Soprintendenti, Direttori di Musei, architetti allestitori, curatori di mostre?

lunedì 17 febbraio 2014

A proposito del Renzino Rignanese





Trasmetto ai miei amici Daniele Nepi e Paolo Palmerini questo testo tratto dall’opera “Gianni Schicchi”, musica di Giacomo Puccini, libretto di Giovacchino Forzano, con riferimento al Renzino Rignanese. L’opera è del 1918 e tratta di un avvenimento del 1299. Un po’ di cultura musicale-operistica non farebbe male anche a chi suona egregiamente il clavicembalo.

“Vien dal contado? Ebbene? E che vuoi dire?
Basta con queste ubbie grette e piccine!

Firenze è come un albero fiorito,
che in piazza dei Signori ha tronco e fronde,
ma le radici forze nuove apportano
dalle convalli limpide e feconde!
E Firenze germoglia ed alle stelle
salgon palagi saldi e torri snelle!
L'Arno, prima di correre alla foce,
canta baciando piazza Santa Croce,
e il suo canto è si dolce e sì sonoro
che a lui son scesi i ruscelletti in coro!
Così scendanvi dotti in arti e scienze
a far più ricca e splendida Firenze!
E di Val d'Elsa già dalle castella
ben venga Arnolfo a far la torre bella!
E venga Giotto dal Mugel selvoso,
e il Medici mercante coraggioso!
Basta con gli odi gretti e coi ripicchi!
Viva la gente nuova e Gianni Schicchi!”

sabato 8 febbraio 2014

Da un'altra città

A dire il vero questo testo che sto per inserire non ha niente a che vedere con il titolo del mio blog "Storie di una città". Il fatto è che sono lontanissimo dalla città di cui mi compiaccio di dirne le storie (si badi bene, storie, non storia). Allora in questo lontano luogo, una cittadina dello Sri Lanka che si chiama Matara, che ho in certo qual modo eletto a mia seconda, temporanea, residenza, mi capita di dovermi distrarre con la visione di qualche vecchio film sul mio prezioso Mac Book. I miei interventi sul blog non li legge nessuno, o quasi, perciò mi consento, senza dover disturbare troppa gente, di servirmene per registrare l'impressione ricevuta con la visione di "8 e 1/2" di Fellini (1962). Cosa mi succede? Non mi piacciono più i grandi maestri? L'altro ieri è toccato a Rossellini, il cui "Era notte a Roma" (1960) mi ha fatto uscir dai gangheri. Non era andata molto meglio a "Vaghe stelle dell'Orsa" (Visconti, 1965, ambientato in una improbabile Volterra goticheggiante). Ma "8 e 1/2" non è altro che una grande lunghissima masturbazione di Federico, un ritratto di se stesso affidato all’insopportabile Mastroianni. L’unico personaggio accettabile è quello del grillo parlante di Rossella Falk, con la differenza che il Pinocchio del caso, oltre che bugiardo, è anche sessista, egoista, antipatico e indifferente agli altri. Però, con tutti questi limiti e difetti, il regista, rappresentando se stesso, è riuscito ancora una volta, ma ancora per poco, a far centro. 

Stamani sono stato a Messa. ma la durata di 1 ora e 40 minuti mi è sembrata eccessiva, anche per l’enfatica (per me incomprensibile) predica di 25 minuti del sacerdote. Come al solito, meglio il popolo che i preti. Tutti composti, le donne con il velo, la comunione presa in ginocchio e sulla bocca, canti e risposte coralmente intonati, anche se su ritmi che si possono accettare solo considerando l’esotismo del contesto. Vero è, come qualcuno ha scritto, che ci sono più cattolici praticanti in Sri Lanka che in Italia.