Stamani alla
Biblioteca degli Uffizi si è parlato della "Tavola Doria tra storia e mito", il dipinto di
anonimo del XVI sec., copia della lotta per lo stendardo facente parte della
“Battaglia di Anghiari”, l’opera incompiuta e perduta che Leonardo intraprese
per la Sala del Maggior Consiglio del Palazzo dei Signori. La tavoletta,
notificata e vincolata nel 1930, sparì presto dalla circolazione, sfuggita all’attenzione
dei nostri bravi funzionari nonostante il vincolo, ed è stata rinvenuta fortunosamente
in un caveau svizzero pochi anni fa, per merito di carabinieri e magistrati, e non
certo di coloro che se l’erano lasciata sfuggire. Si scopre che legittimo proprietario
risulta essere un museo di Tokio che l’aveva pagata fior di milioni di dollari.
La favola finisce col rientro della tavola a far parte del patrimonio italiano,
in dotazione al Museo degli Uffizi, che tuttavia si è impegnato a concederla
in esposizione per quattro anni al museo giapponese che pare averla acquistata
in buona fede. La mattinata è trascorsa fra mille chiacchiere dei responsabili
del ritrovamento, delle indagini diagnostiche, degli interventi di restauro.
Una fiera delle vanità. Gli Uffizi detengono un’altra copia del dipinto leonardesco,
di altro anonimo autore del XVI sec., stabilmente esposta nel ballatoio della
sala dei 500 in Palazzo Vecchio. Non si capisce tanto orgoglio per l'ottenimento di questa seconda copia, che fra l’altro è assai deteriorata per colpa di uno scriteriato intervento
di cui non si sono ancora capite né la mano né l’epoca. Tutto serve per compiacere
l’ego degli addetti ai lavori, i quali si garantiscono, in questo scambio di
cortesie reciproche, viaggi e soggiorni a Tokio a spese dello Stato.
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