Ti pareva che non si
alzassero strilli isterici dei soprintendenti e dei loro funzionari alla nuova
normativa che mette le soprintendenze in collegamento con le prefetture? Guai a
mettere in discussione l’autoreferenzialità della casta. Del resto i prefetti
cosa sono? Si trattasse di sindaci o di “governatori”, pericolosi portavoce d’inconfessabili
interessi localistici, si potrebbe capire, ma i prefetti non rappresentano
invece lo stato centrale del quale le stesse soprintendenze si pregiano di far
parte? Queste soprintendenze, che a Firenze non si propongono nemmeno di aprire
la porta che metterebbe in comunicazione la Sacrestia nuova con la Basilica di
San Lorenzo con la scusa che è così dall’unità d’Italia, cioè da più di un
secolo e mezzo, non conoscono altro che lo status quo.
Storie di una città
giovedì 6 agosto 2015
mercoledì 10 giugno 2015
L'Opera di Firenze
L'Opera di Firenze.
Una cattedrale nel deserto (Daniele Gatti).
Sembra che i progettisti non abbiano mai messo piede in un teatro (Daniele Abbado).
A vantaggio di quanti non hanno letto “La Repubblica” del 10 giugno, si riportano le osservazioni sul nuovo teatro, detto “Opera di Firenze”, da parte dei due responsabili del nuovo allestimento di “Pelléas et Mélisande”, Daniele Gatti e Daniele Abbado.
Alla domanda “Qual è la difficoltà più grande che quest’opera impone nella buca dell’orchestra”, Gatti risponde: “Qui, all’Opera di Firenze, senza dubbio la distanza tra strumentisti e palcoscenico. Non so perché abbiano progettato il palco in questo modo, e la stessa buca non ha la profondità tipica del golfo mistico, ma è una specie di inutile grande piscina”.
Abbado: “Ma i problemi non si fermano alle distanze. Ad esempio non ci sono i motori per il cambio delle scene, né sul palco si può aprire una botola. Il vecchio Comunale non era bello, ma almeno funzionava. Guarda caso tutti i nuovi teatri italiani mostrano gravissimi problemi, come se si fosse perso il sapere architettonico che è stato per secoli prerogativa dell’Italia (sembra quasi che i progettisti di adesso non abbian mai messo piede in un teatro) e contasse solo l’impresa costruttrice. Cosa diremmo se un architetto mettesse un pronto soccorso al decimo piano di un ospedale? Ecco, i nostri teatri sono fatti così, senza una cognizione specifica da parte del committente, di solito un ufficio pubblico che assegna appalti soltanto sulla base del budget”.
Gatti: “E che senso ha pensare di costruire accanto all’Opera anche una sala per i concerti? Non basta un unico teatro ma dotato di tecnologie d’avanguardia? … Qui sembra di essere in una cattedrale nel deserto. Magari chissà, tra un po’ si richiude e poi si riparte”.
Una sola osservazione all'affermazione di Abbado che dice che il vecchio Comunale non era bello. Perché, questo teatro “Opera di Firenze” (dove il pubblico della platea non vede quello della galleria e viceversa) è forse bello?
Una cattedrale nel deserto (Daniele Gatti).
Sembra che i progettisti non abbiano mai messo piede in un teatro (Daniele Abbado).
A vantaggio di quanti non hanno letto “La Repubblica” del 10 giugno, si riportano le osservazioni sul nuovo teatro, detto “Opera di Firenze”, da parte dei due responsabili del nuovo allestimento di “Pelléas et Mélisande”, Daniele Gatti e Daniele Abbado.
Alla domanda “Qual è la difficoltà più grande che quest’opera impone nella buca dell’orchestra”, Gatti risponde: “Qui, all’Opera di Firenze, senza dubbio la distanza tra strumentisti e palcoscenico. Non so perché abbiano progettato il palco in questo modo, e la stessa buca non ha la profondità tipica del golfo mistico, ma è una specie di inutile grande piscina”.
Abbado: “Ma i problemi non si fermano alle distanze. Ad esempio non ci sono i motori per il cambio delle scene, né sul palco si può aprire una botola. Il vecchio Comunale non era bello, ma almeno funzionava. Guarda caso tutti i nuovi teatri italiani mostrano gravissimi problemi, come se si fosse perso il sapere architettonico che è stato per secoli prerogativa dell’Italia (sembra quasi che i progettisti di adesso non abbian mai messo piede in un teatro) e contasse solo l’impresa costruttrice. Cosa diremmo se un architetto mettesse un pronto soccorso al decimo piano di un ospedale? Ecco, i nostri teatri sono fatti così, senza una cognizione specifica da parte del committente, di solito un ufficio pubblico che assegna appalti soltanto sulla base del budget”.
Gatti: “E che senso ha pensare di costruire accanto all’Opera anche una sala per i concerti? Non basta un unico teatro ma dotato di tecnologie d’avanguardia? … Qui sembra di essere in una cattedrale nel deserto. Magari chissà, tra un po’ si richiude e poi si riparte”.
Una sola osservazione all'affermazione di Abbado che dice che il vecchio Comunale non era bello. Perché, questo teatro “Opera di Firenze” (dove il pubblico della platea non vede quello della galleria e viceversa) è forse bello?
domenica 7 giugno 2015
Mercanti del tempio
Dopo aver coperto il Battistero con un enorme preservativo su cui espongono pubblicità a pagamento, hanno ritenuto di collocarci all'interno il restaurato rosone della Cattedrale. Così il povero cittadino è costretto a versare un obolo per vedere la vetrata e magari recitare una preghiera nel luogo dove è stato battezzato. Avrebbero potuto esporla in Duomo, alla base della facciata interna dove poi dovrà essere collocata, ma in tal modo i mercanti del tempio non avrebbero potuto specularci sopra. Sono gli stessi mercanti che hanno ritenuto di foderare il Battistero in modo che nessuno possa controllare che i lavori vi si svolgano realmente o che almeno vi si svolgano celermente. Nessuno deve sapere e vedere ciò che, lavorando su un lato dell'ottagono alla volta, si poteva fare alla luce del sole.
domenica 19 aprile 2015
Cancella i "fasci"
A proposito di "Cancella il fascio" (articolo di stamani sul Corriere Fiorentino), il dopoguerra fiorentino provvide a cancellare i tre fasci marmorei collocati a destra sulla facciata della Stazione di Santa Maria Novella (anni 30). L'elemento decorativo, oltre al significato politico e simbolico, aveva anche un valore architettonico, venendo a bilanciare il peso rappresentato a sinistra dalla galleria a vetri e dall'orologio. Guardando attentamente si possono ancora scorgere le tracce dei tre fasci censurati.
lunedì 30 marzo 2015
Ancora Orsanmichele
Orsanmichele: nella grande sala del primo piano, si trova quello che si può definire il cimitero delle statue di Orsanmichele. Infatti a tutte le nicchie dell'eccezionale chiesa-granaio sono state estirpate le statue di appartenenza, siano esse di bronzo o di marmo, per sostituirle con delle copie. Gli originali si trovano ora, assurdamente allineati, al piano superiore, privi delle nicchie che ne costituiscono l'indispensabile e naturale complemento, nicchie le cui dimensioni hanno determinato e condizionato la forma delle statue in esse contenute. Che senso hanno i Quattro Santi Coronati di Nanni di Banco estratti dal semicilindro che li contiene e privati della predella in cui sono rappresentate le loro attività di scultori e scalpellini? Nessun rapporto contestuale, schierate come in deposito l'una indifferentemente accanto all'altra. Questa è la nuova musicologia (volevo scrivere museologia, ma il correttore automatico ha provveduto da solo)
lunedì 26 gennaio 2015
Strade e piazze a Firenze
Cosimo il Vecchio e Michelozzo avevano angolato il palazzo Medici in modo che fosse visibile la loggia d'angolo dove i Medici tenevano banco. Sindaci, Assessori e soprattutto Soprintendenti non sanno un cazzo di niente e coprono con una baracca per mesi e mesi la storica prospettiva. Beati i tempi quando si collocavano le statue commemorative al centro delle piazze. Oggi Re e Poeti vengono spostati per far posto a giostre e mercatini. Ma non bastando le piazze, si occupano anche le strade senza tener conto dei valori storici e ambientali.
domenica 21 dicembre 2014
A proposito di Opera (di Firenze)
Ma com'è gestita, dal punto di vista del gusto e del decoro, l'Opera di Firenze? Quel ridicolo alberello di Natale nel foyer, collegato alla presa elettrica con un filo per terra fermato col nastro adesivo, coronato in basso da una serie di scatole vuote, nemmeno fossimo in un minimarket gestito da cinesi. A nessuno è balenata l'idea di allestire un albero di dimensioni accettabili all'esterno, anche per sopperire allo squallore dell'area dell'accesso, inutilmente rallegrata (si fa per dire) da quegli stupidi cavalli rossi che non si capisce se un bel giorno verranno messi a riposo. E perché lasciare al buio quella lunga pensilina che ci accompagna dal Viale Belfiore? La quale peraltro non arriva all'ingresso del teatro (scusate, dell'Opera), costringendoci per gli ultimi cinquanta metri che ci separano dal foyer a riaprire l'ombrello. Alla bruttezza di quest'Opera, dove dalla galleria non si vede la platea e viceversa, con tanti saluti al coinvolgimento socializzante che contraddistingue da sempre i luoghi di spettacolo, si aggiunge la trascuratezza dovuta alla mancanza di un responsabile all' "estetica", e ciò in una città che ha sempre fatto attenzione alla qualità, ai dettagli, alla perfezione.
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