L'Opera di Firenze.
Una cattedrale nel deserto (Daniele Gatti).
Sembra che i progettisti non abbiano mai messo piede in un teatro (Daniele Abbado).
A vantaggio di quanti non hanno letto “La Repubblica” del 10 giugno, si riportano le osservazioni sul nuovo teatro, detto “Opera di Firenze”, da parte dei due responsabili del nuovo allestimento di “Pelléas et Mélisande”, Daniele Gatti e Daniele Abbado.
Alla domanda “Qual è la difficoltà più grande che quest’opera impone nella buca dell’orchestra”, Gatti risponde: “Qui, all’Opera di Firenze, senza dubbio la distanza tra strumentisti e palcoscenico. Non so perché abbiano progettato il palco in questo modo, e la stessa buca non ha la profondità tipica del golfo mistico, ma è una specie di inutile grande piscina”.
Abbado: “Ma i problemi non si fermano alle distanze. Ad esempio non ci sono i motori per il cambio delle scene, né sul palco si può aprire una botola. Il vecchio Comunale non era bello, ma almeno funzionava. Guarda caso tutti i nuovi teatri italiani mostrano gravissimi problemi, come se si fosse perso il sapere architettonico che è stato per secoli prerogativa dell’Italia (sembra quasi che i progettisti di adesso non abbian mai messo piede in un teatro) e contasse solo l’impresa costruttrice. Cosa diremmo se un architetto mettesse un pronto soccorso al decimo piano di un ospedale? Ecco, i nostri teatri sono fatti così, senza una cognizione specifica da parte del committente, di solito un ufficio pubblico che assegna appalti soltanto sulla base del budget”.
Gatti: “E che senso ha pensare di costruire accanto all’Opera anche una sala per i concerti? Non basta un unico teatro ma dotato di tecnologie d’avanguardia? … Qui sembra di essere in una cattedrale nel deserto. Magari chissà, tra un po’ si richiude e poi si riparte”.
Una sola osservazione all'affermazione di Abbado che dice che il vecchio Comunale non era bello. Perché, questo teatro “Opera di Firenze” (dove il pubblico della platea non vede quello della galleria e viceversa) è forse bello?
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